Il Lapidario espone le epigrafi rinvenute nel territorio di Bergamo e quelle della collezione Simoni, rinvenute in Valcamonica, tutte databili fra il I e il III secolo d.C. I testi, in lingua latina, con molte abbreviazioni, sono incisi su pietra e impaginati in uno spazio ben definito, su lapidi di forma diversa, quasi tutte in marmo proveniente dalle cave di Zandobbio, presso Trescore Balneario (BG).
La maggior parte delle iscrizioni appartiene all’ambito funerario e sacro, poche sono quelle onorarie.
Le iscrizioni funerarie tramandano il ricordo di personaggi e famiglie vissuti nel territorio bergamasco in età romana. I soggetti maschili sono solitamente denominati con i tria nomina (tre nomi): il praenomen, ovvero il nome, il nomen, che indica la gens ed equivale a quello che oggi è il cognome, e il cognomen, una sorta di soprannome, spesso legato a caratteristiche fisiche o caratteriali dell’individuo oppure all’ordine di nascita. Spesso il cognomen è preceduto dal patronimico e dall’indicazione della tribù di appartenenza: gli abitanti di Bergomum erano membri della tribù Voturia (abbreviata in VOT).
Gaio Cornelio, ricordato in una lastra proveniente da Grassobbio, è menzionato come C(aius) CORNELIVS C(ai) F(ilius) VOT(uria tribu) CALVOS.
Le donne avevano il nome della gens al femminile, il patronimico e il cognomen. I liberti, ossia gli schiavi che venivano liberati, assumevano il praenomen e il nomen del patrono (l’ex padrone) mantenendo il proprio nome da schiavo come cognomen; al posto del patronimico avevano l’indicazione di L(ibertus).
Il livello sociale delle famiglie è indicato dalle cariche pubbliche (molte iscrizioni ricordano quattuorviri, ovvero uomini che hanno ricoperto la carica più importante del municipium romano), dalla ricchezza del monumento o dal possesso della cittadinanza romana. Le famiglie più diffuse sono quelle dei Cornelii, degli Aurelii, dei Flavi e dei Sulpicii; molte delle gentes erano presenti anche nella Venetia (regione X) e nel Piacentino, i cui abitanti erano iscritti alla tribù Voturia come i Bergomensi.
Le lapidi funerarie erano collocate lungo le vie extra-urbane e si offrivano alla vista del passante, che era indotto dalla decorazione o dal testo latino a soffermarsi a osservare e a leggerne il contenuto: in tal modo veniva assicurata la memoria del defunto.
Le iscrizioni sacre sono dediche alle divinità per ottenerne la protezione o come riconoscenza per un voto esaudito o un bene ricevuto. Nel territorio bergamasco compaiono su are utilizzate privatamente a scopo devozionale, quasi tutte dei primi due secoli dell’Impero.
L’elemento fondamentale di un’iscrizione sacra è il nome della divinità, che può essere un complemento di specificazione per sottolinearne l’appartenenza (Mercuri = di Mercurio) oppure un complemento di termine per segnalare che si tratta di un’offerta (Mercurio = a Mercurio). Il testo ricorda spesso il nome dell’offerente e solitamente si conclude con la formula V(otum) S(olvit) L(ibens) M(erito): sciolse il voto volentieri meritatamente.
Le dediche a Giove, Minerva, Marte, Mercurio, Diana, Giunone e Nettuno dimostrano la diffusione del culto ufficiale romano a Bergomum e nel suo territorio. Persiste la devozione ad alcune divinità agresti, rappresentate da Silvano e Priapo, riferibili al substrato celtico.
Le iscrizioni onorarie riguardano persone benemerite, viventi o defunte, ed erano realizzate per essere esposte in luoghi pubblici. Da Scano (Valbrembo) proviene una lastra dedicata a Marco Mesio Maximo, un quattuorviro divenuto patrono della città, a cui Plinio il Giovane scrisse due lettere tra il 103 e il 105 d.C. La formula abbreviata finale D D segnala che la lapide fu posta per esplicito decreto dei Decurioni, cioè di coloro che costituivano il Senato municipale.
Nel territorio bergamasco sono estremamente rare le iscrizioni onorarie dedicate a personaggi della famiglia imperiale. Si possono citare soltanto un piccolo frammento rinvenuto a Stezzano, pertinente a un’epigrafe in onore dell’imperatore Antonino Pio, e il miliario di Verdello, che era posto lungo la strada che collegava Lubiana a Milano, in cui sono ricordati gli imperatori Valentiniano e Valente.